Tumore alla prostata: sintomi, cure, sopravvivenza e prevenzione
Con quali sintomi si manifesta il tumore alla prostata? Esistono tecniche di prevenzione? E quali sono le cure e le possibilità di sopravvivenza in caso di tumore conclamato. Scopriamolo.
Che cosa è il tumore alla prostata?
Il tumore alla prostata è la crescita anomala, eccessiva e disordinata di una delle diverse tipologie di cellule che costituiscono il tessuto della ghiandola prostatica. Crescita che avviene al di fuori dei normali meccanismi che regolano la proliferazione dei tessuti a causa di danni del DNA.
Tipologie.
I tipi di tumori che possono svilupparsi sono:
- adenocarcinoma prostatico, è il tipo di tumore prostatico più comune. Questo ha origine dal tessuto ghiandolare ossia dal tessuto composto da cellule secernenti gli ormoni prostatici;
- sarcomi che si originano dalle cellule del tessuto connettivo;
- carcinomi a cellule di transizione che si originano dalle cellule della zona di transizione che circonda l’uretra.
L’incidenza del tumore alla prostata cresce con l’età, infatti, mentre è molto raro nei giovani è abbastanza comune negli anziani ed ha un picco intorno ai 75 anni. Il suo sviluppo di norma ha un iter abbastanza subdolo: si origina come un piccolo rigonfiamento e rimane nella ghiandola e qui rimane confinato in maniera asintomatica per lunghissimi anni. Per tale motivo riesce spesso difficile da diagnosticarsi.
Esistono, però, anche delle tipologie aggressive che si sviluppano rapidamente e che altrettanto rapidamente si trasmettono ai tessuti circostanti. Generalmente ossa del bacino e vertebre lombo/sacrali.
Quali sono i sintomi?
Come detto nella maggioranza dei casi il tumore alla prostata non causa alcun sintomo nella sua fase iniziale. Solo quando raggiunge uno stadio avanzato del suo sviluppo inizia a comparire la sintomatologia che delinea un quadro clinico molto simile a quello della IPB (iperplasia prostatica benigna). Infatti il tumore deve crescere abbastanza per comprimere l’uretra e rendere difficoltoso lo svuotamento della vescica. Perciò si avrà:
- Difficoltà ad urinare con la minzione che tarda ad iniziare.
- Flusso urinario debole ed intermittente che può arrestarsi per poi riprendere.
- Continuo stimolo alla minzione.
- Incompleto svuotamento della vescica.
- Aumento della diuresi notturna.
- Bruciore/dolore durante la minzione.
- Bruciore/dolore durante l’eiaculazione.
- Tracce di sangue nelle urine.
- Tracce di sangue nel liquido seminale.
Se il tumore ha metastatizzato e quindi ha aggredito gli organi limitrofi, generalmente le ossa, possono anche aversi:
- Dolori alle ossa. Generalmente saranno interessate le ossa del bacino, la testa del femore, vertebre lombo sacrali.Indebolimento delle ossa con improvvise ed immotivate fratture.
- Debolezze muscolari, parestesie. Conseguenze della compromissione tumorale del midollo spinale.
- Problemi neurologici. Come possono essere convulsioni e stato confusionale provocati dalla compromissione celebrale.
- Anemia.
Cause del carcinoma prostatico e fattori di rischio.
Non è ancora ben nota la causa precisa del tumore alla prostata. Sicuramente gli ormoni maschili in qualche maniera sono coinvolti nella sua eziologia tanto è vero che la loro presenza ne accelera la crescita mentre la loro soppressione la rallenta. Resta comunque ignoto il processo che, partendo da essi, determina l’insorgere della patologia e se essi agiscono direttamente o se sono una concausa.
Allo stato attuale delle conoscenze sono noti alcuni fattori che aumentano la probabilità di contrarre la malattia, per altri, invece, si nutre sospetto fondato, ma non vi è unanimità di vedute.
Sono fattori di rischio certi:
- Età avanzata. La malattia è molto rara in individui che hanno meno di 45/50 anni. L’età media degli ammalati di tumori alla prostata è di 70 anni. Sicuramente però queste statistiche non sono esatte perchè nella sua prima fase la malattia è asintomatica e quindi molti soggetti ne sono ammalati senza esserne consapevoli e spesso muoiono senza che il tumore venga scoperto, come dimostra il fatto che le autopsie di uomini anziani morti per altre cause hanno di frequente evidenziato la presenza di un tumore prostatico non diagnosticato.
- Razza. I maschi di razza nera si ammalano con maggior frequenza di tumore alla prostata mentre gli asiatici (cinesi e giapponesi) hanno l’incidenza più bassa. Tra questi due estremi è posizionata la popolazione di stirpe caucasica.
- Familiarità. Il tumore prostatico colpisce con frequenza maggiore individui che hanno parenti di primo grado (padre o fratelli) che soffrono o che hanno sofferto del medesimo male.
- Obesità. Anche se non è chiaro come l’obesità interagisca con lo sviluppo del cancro alla prostata è provato che il sovrappeso aumenta la probabilità di svilupparlo. Sicuramente l’eccesso di adipe interferisce ed influenza i meccanismi con cui vengono sintetizzati gli androgeni ed estrogeni. Ormoni che sono implicati nei processi che regolano l’accrescimento della ghiandola.
Sono possibili fattori di rischio:
- Alimentazione ricca di grassi saturi di origine animale. Alcuni studi sembrano confermarlo ma non esistono in merito prove certe per cui la questione è controversa. Altrettanto controversa è l’affermazione che una alimentazione ricca di frutta e verdura riduca il rischio di tumori alla prostata.
- Infezioni virali. Infezioni da virus erpetico, citomegalovirus sono sospettate di essere responsabili di un aumento della probabilità di incorrere nella neoplasia, ma a tutt'oggi non è stato ancora riscontrato alcun legame diretto con questa.
- Infezioni sessualmente trasmissibili. Poiché diversi studi sembrano aver dimostrato che la promiscuità di rapporti sessuali aumenti la probabilità di contrarre il tumore alla prostata, si è perciò ragionevolmente ipotizzato che potesse esservi una correlazione tra malattie sessualmente trasmissibili e quest’ultimo. Anche in questo caso però non si è trovato ancora alcun legame certo tra le due situazioni e quindi la cosa rimane controversa.
Diagnosi e prevenzione: screening ed indagini di malignità e stadiazione.
Nel caso del tumore alla prostata la popolazione che viene ritenuta a rischio medio sono gli over 45.
Per costoro viene utilizzato lo screening, un protocollo diagnostico per rilevare una specifica patologia in una popolazione che si ritiene a rischio medio e che non presenta ancora alcun sintomo specifico che configuri il quadro clinico per cui si indaga.
Lo screening per il tumore prostatico consiste nell’eseguire le seguenti indagini cliniche:
- Ricerca dell’antigene prostatico specifico o PSA. Analisi ematochimica che misura i livelli di PSA. Il PSA è una proteina che è prodotta dalle cellule del tessuto della ghiandola prostatica. In condizioni di normalità bassi livelli di PSA sono comunque riscontrabili nel sangue, di solito valori inferiori ai 3 nanogrammi per millilitro. La misura di valori di PSA superiori ai 3/4 ng/ml è l’indice di problema alla prostata che non necessariamente è una neoplasia. Anzi solo una piccola percentuale di coloro che hanno valori di PSA elevati soffrono realmente di tumore alla prostata. La ragione di ciò è la scarsa specificità della ricerca dell’antigene PSA.
- Esplorazione rettale. Si unisce e completa il test del PSA e consiste nella palpazione digitale attraverso il retto della ghiandola. Con questa ispezione dei contorni della ghiandola l’urologo ne valuta ingrossamento e nodosità.
La combinazione delle due indagini permette all’urologo di formulare una ipotesi di diagnosi di tumore prostatico che dovrà essere poi confermata con successivi test che di seguito descriveremo.
Il protocollo diagnostico elencato è, come detto, utilizzato per lo screening del tumore alla prostata. La validità di detto screening è però una questione ancora aperta ed oggetto di dibattito. Alcuni specialisti ritengono infatti che, nello specifico del tumore prostatico con tempi di insorgenza lunghi e il fatto che si sviluppi in età avanzata, l’utilizzo dello screening non conduce ad una reale diminuzione della mortalità dei pazienti. Per valutare ciò sono stati avviati studi che però, data la loro lunghezza nell'ordine di decine di anni, non hanno ancora prodotto risultati attendibili.
Una positività ai test di screening con ipotesi di diagnosi di tumore prostatico dovrà essere confermata dalle seguenti indagini:
- Ecografia trans rettale. Consiste nell'introdurre il trasduttore ecografico, opportunamente realizzato, nel retto. Si ottiene così una perfetta fotografia della ghiandola che consente di rilevare eventuali neoplasie.
- Biopsia prostatica. Attraverso il retto sotto guida ecografica con appositi aghi si raccolgono campioni di tessuti della ghiandola che successivamente vengono esaminati al microscopio per la ricerca di cellule cancerose.
Con diagnosi di tumore prostatico conclamato si deve procedere a valutarne l’indice di malignità ossia di quanto le cellule del tessuto tumorale risultano alterate rispetto a quelle del normale tessuto ghiandolare, ed ancora quanto il tumore risulti diffuso nella prostata ed eventualmente nei tessuti circostanti.
Per valutare l’alterazione cellulare e quindi la malignità del tumore lo specialista, che in questo caso è il patologo, si serve dell’esame delle cellule al microscopio e di analisi biochimiche. Più le cellule cancerose differiscono dalle cellule normali e maggiormente il tumore risulterà aggressivo.
Per quantificare questo dato, che risulterà indispensabile per stabilire le strategie terapeutiche, è stata organizzato dal patologo statunitense Donald Gleason nel lontano 1960 un sistema di classificazione che porta il suo nome, e che, nonostante gli anni trascorsi, viene ancora utilizzato. Secondo questa classificazione al tumore viene associato un punteggio che varia tra 2 e 10. Più è alto il numero di Gleason e più il tumore risulterà aggressivo. |
Per valutare la diffusione del tumore nella ghiandola ed eventualmente nei tessuti circostanti (la stadiazione) si utilizzano indagini strumentali che forniscono immagini della prostata e dei tessuti circostanti e quindi: ecografia, TAC, RMN ed ancora scintigrafia pelvica con anticorpi radiomarcanti per visualizzare la diffusione di cellule neoplastiche nei linfonodi o scintigrafia ossea per valutare la loro infiltrazione tumorale.
I criteri che consentono di classificare la stadiazione del tumore sono:
- Valutazione della diffusione del tumore all'interno della ghiandola.
- Valutazione della diffusione del tumore nei linfonodi delle regioni anatomiche prospicienti alla prostata.
- Valutazione della diffusione del tumore in organi diversi e anche distanti dalla prostata.
La classificazione della stadiazione del tumore si esprime comunemente poi col sistema denominato TNM acronimo di Tumore, Nodi, Metastasi. Secondo tale sistema esistono quattro stadi della diffusione tumorale da I a IV. Lo stadio I è quello del tumore in fase precoce e quindi molto circoscritto in una area limitata della prostata. Lo stadio IV è invece quello in cui il tumore ha travalicato i limiti della ghiandola ha invaso i linfonodi circostanti ed ha infiltrato gli altri organi: vescica, vescicole seminali, ossa, midollo spinale, polmoni,etc |
Trattamento del tumore della prostata: la scelta della cura adatta.
Il trattamento del cancro della prostata non è semplice, e per poter stabilire la necessaria strategia lo specialista, che in questo caso è l’oncologo, dovrà attentamente valutare un discreto numero di parametri. La terapia andrà poi concordata col paziente perchè non vi è certezza che la cura allunghi la sua vita, mentre sicuramente ne comprometterà la qualità.
I parametri che bisognerà valutare per decidere la terapia sono:
- indice di malignià del tumore,
- stadiazione,
- età del paziente,
- stato di salute generale,
- valutazione effetti collaterali /benefici della cura.
I trattamenti più utilizzati comunque sono:
Attesa vigile. Equivale a non effettuare alcun trattamento e a monitorare periodicamente l’evoluzione del tumore. I tumori prostatici classificati con punteggio di Gleason bassi e confinati alla ghiandola si evolvono in maniera estremamente lenta (nell'ordine di decine di anni) per cui in questa situazione non si effettua alcuna terapia ma si sorveglia periodicamente l’evoluzione del tumore.
Intervento chirurgico. L’operazione comporta la totale rimozione della prostata e parte dei tessuti limitrofi (vescicole seminali e porzione del dotto che trasporta il liquido seminale). E’ efficace quando il tumore è ancora confinato all'interno dell’organo e non ha infiltrato tessuti limitrofi. Effetti collaterali di tale intervento sono incontinenza urinaria temporanea e disfunzione erettile. Se il cancro non ha invaso l’area delle terminazioni nervose responsabile dell’erezione queste possono essere risparmiate dalla demolizione dell’intervento e si evita il deficit di erezione. L’intervento chirurgico di prostatectomia assicura di norma ai soggetti più giovani una speranza di vita di almeno 12/15 anni.
Radioterapia. Usa radiazioni ionizzanti per distruggere le cellule tumorali senza ledere i tessuti integri. Viene utilizzata per trattare i tumori confinati nell'organo ma anche quelli che hanno attaccato gli organi limitrofi non per i casi in cui sono stati lesi organi lontani. Le speranze di vita dopo radioterapia di pazienti con tumori confinati sono pressoché identiche a quelle della prostatectomia. La radioterapia per la cura del tumore alla prostata può essere effettuata in due distinte maniere:
- Dall'esterno della ghiandola. Focalizzando sul tumore un fascio di raggi X ad elevata energia. Allo studio vi è una nuova tecnica che utilizzerebbe un fascio di protoni che hanno minori effetti collaterali dei raggi X.
- Dall'interno della ghiandola. Si impiantano nel tumore con un ago sotto guida ecografica dei minuscoli semi radioattivi. Questi emettono una bassa dose di radiazione per un tempo lungo. I semi dopo un certo periodo esauriranno la loro carica radioattiva e rimarranno nella ghiandola senza necessità di rimozione.
Terapia ormonale. Lo sviluppo del tumore prostatico è legato alla presenza degli ormoni maschili e quindi del testosterone. Pertanto un trattamento che fermi la sua secrezione rallenterà lo sviluppo del tumore. La terapia descritta che è nota come ormonale è utilizzata sia in pazienti con tumore in stadio avanzato per contenerne l’espansione che in pazienti con tumori confinati prima del trattamento di radioterapia.
La terapia ormonale si effettua con:
- Farmaci Inibitori della produzione di testosterone.
- Farmaci che impediscono al testosterone di raggiungere le cellule tumorali.
- Rimozione chirurgica dei testicoli. I testicoli sono gli organi deputati alla secrezione del testosterone. La loro rimozione abbassa immediatamente ed in maniera drastica i livelli di quest’ultimo.
Un limite della terapia ormonale è che dopo qualche tempo il tumore sviluppa resistenza alla sua azione.
Crioterapia o riscaldamento con ultrasuoni. Sia il caldo che il freddo distrugge il tessuto tumorale mantenendo intatti i tessuti vicini o danneggiandoli in maniera contenuta.
Chemioterapia. Vengono utilizzate speciali sostanze per uccidere le cellule tumorali. La chemioterapia viene utilizzata nei casi in cui il tumore non risponde più alla terapia ormonale e quando il tumore si è infiltrato in organi lontani dalla prostata.
Complicanze, sopravvivenza ed aspettativa di vita.
Le complicanze più comuni del cancro alla prostata e del suo trattamento sono:
- L’incontinenza urinaria. Generalmente è transitoria e può essere risolta con adeguati farmaci.
- Disfunzione erettile. E’ di norma una conseguenza della cura del cancro e può essere ovviata con gli accorgimenti elencati nell’articolo specifico.
Il tumore prostatico è una malattia grave ma la sua evoluzione è lenta e le cure attuali sono efficaci.
Le statistiche hanno accertato che un paziente con tumore alla prostata che è stato classificato con un numero di Gleason pari a 5 o più piccolo difficilmente morirà a causa della neoplasia in un tempo inferiore ai 15 anni.