Infarto del miocardio: sintomi, cause, prevenzione, terapia e conseguenze
L’infarto cardiaco o infarto del miocardio (IMA) è una malattia gravissima del cuore. Analizziamo i sintomi e le cause che possono portare la morte di una porzione dei tessuti del muscolo cardiaco e le conseguenze che purtroppo, in molti casi, possono essere mortali. Scopriamo inoltre come curare un attacco di cuore, e soprattutto come prevenirlo eliminando quei fattori di rischio che possono essere influenzati mantenendo un corretto stile di vita.
Che cos’è l’infarto del miocardio?
L’infarto del miocardio o anche attacco di cuore è un infarto e quindi necrosi (morte non naturale) delle cellule di un tessuto vivente che nello specifico è appunto il miocardio ossia la tonaca muscolare del cuore. La necrosi protratta nel tempo (oltre 30 minuti), avviene per ischemia ovvero per mancata irrorazione del muscolo di sangue arterioso (ricco di ossigeno). Essa si verifica quando all’improvviso, o con una vaga sintomatologia premonitoria, per cause che successivamente chiariremo, il flusso di sangue che irrora il cuore, trasportato da una delle arterie coronariche, si blocca completamente.
Breve richiamo di anatomia. Le arterie coronariche sono due, la destra e la sinistra, e si originano dall’aorta discendente subito al di sopra della valvola semilunare aortica e quindi subito dopo l’attaccatura dell’arteria al muscolo cardiaco. Il loro compito è di addurre sangue saturo di ossigeno alle cellule cardiache. Ognuna delle due si suddivide in vari rami che alimentano distinte parti del cuore. Il sangue deossigenato è poi drenato dalle vene cardiache che in maggioranza confluiscono in un grosso e corto vaso che è il seno coronarico che termina nell’atrio destro di fronte alla vena cava inferiore. |
In queste condizioni se il flusso ematico non viene ripristinato in tempi ragionevolmente brevi le fibre muscolari cardiache che non ricevono più ossigeno ed alimenti tradotti dal sangue moriranno rapidamente. Se il paziente riesce a superare la fase acuta dell’infarto il tessuto necrotico verrà riassorbito e la regione si rimarginerà con tessuto cicatriziale che però, essendo di natura fibrotica, non avrà le caratteristiche del tessuto normale e quindi non possiederà più le capacità di contrarsi armonicamente come il circostante. Pertanto quando l’infarto sarà guarito comunque la funzionalità del muscolo rimarrà compromessa in maniera più o meno tangibile a seconda della vastità della necrosi tissutale.
Va notato in modo esplicito che esiste una sostanziale differenza tra ischemia cardiaca ed infarto. La prima infatti è una condizione di sofferenza del cuore che viene a determinarsi quando si crea uno squilibrio tra la sua richiesta di ossigeno (per esplicare correttamente i processi metabolici) e l’apporto assicurato dal sangue che gli arriva attraverso le arterie coronariche. Squilibrio determinato da parziale ma non completa ostruzione del lume di queste ultime. Il secondo invece è la necrosi e quindi la morte di cellule cardiache in una area più o meno vasta a valle di un ramo di una coronaria che risulta completamente ostruito. Da quanto detto si desume abbastanza facilmente che la sintomatologia dell’ischemia che assomiglia a quella dell’infarto è transitoria e regredisce: · col riposo (riduce la richiesta di ossigeno del cuore); · con l’azione di speciali farmaci come il trinitrato di glicerina (vasodilatatori) che aumentano la portata di sangue ossigenato al cuore. La sintomatologia dell’infarto è invece stabile nel tempo e non regredisce né col riposo né col trattamento con trinitrato di glicerina. |
Le lesioni prodotte dall’infarto interessano quasi sempre la regione del ventricolo sinistro, ma, con minor frequenza, possono essere colpiti anche il ventricolo destro ed altri siti. Di solito si avrà un infarto che interessa il ventricolo destro se ad ostruirsi è la coronaria di destra o uno dei rami circonflessi. Raramente l’infarto è fulminante e gli eventi infausti sono conseguenze di complicanze e frequentemente di aritmie.
Tipologie di infarto.
Esistono vari criteri con cui è possibile classificare l’infarto. Nel seguito ne riportiamo i più utilizzati.
Criterio temporale in base al quale si fa distinzione tra:
- Infarto del miocardio acuto. Se il processo è ancora in evoluzione e/o si è concluso in tempi recenti.
- Infarto del miocardio pregresso. Se sono presenti le alterazioni anatomiche e patologiche della malattia ma risultano assenti le evidenze cliniche e diagnostiche di essa. Il paziente non avverte più i sintomi e le indagini non ne rivelano i segni : assenza dei markes di necrosi e onde Q anomale nell’ ECG (vedi la sezione diagnosi nel prosieguo).
Criterio di localizzazione ed estensione della necrosi che diversifica le diverse tipologie di infarto in funzione della localizzazione della lesione e della sua estensione.Secondo tale criterio si potrà avere:
- Infarto del miocardio transmurale. Se la lesione interessa l’intero spessore della parete ventricolare
- Infarto del miocardio intramurale. Se la lesione interessa solo parte dello spessore della parete ventricolare. Si suddivide in:
-
- Infarto del miocardio subendocardico. Se è interessata la regione della parete ventricolare prossima all’endocardio. Dove l’endocardio è la membrana che riveste le cavità interne del cuore (atri e ventricoli).
- Infarto del miocardio subpericardico. Se interessa la regione della parete ventricolare prossima al pericardio. Dove il pericardio è la membrana che avvolge esternamente il cuore.
Criterio dei tracciati ECG. Spesso è difficile stabilire la reale profondità della lesione e per tale motivo si classifica l’infarto sulla base del tracciato che si presenta all’elettrocardiogramma (ECG).
ECG: lettura delle onde. L’elettrocardiogramma è il grafico che rappresenta la corrente elettrica che si sviluppa nel cuore durante un battito cardiaco. L’andamento della corrente viene diviso in 3 onde: P: Depolarizzazione atri attivazione degli atri ad opera dell’impulso proveniente dal nodo del seno (pacemaker naturale del cuore); QRS: Depolarizzazione ventricoli attivazione dei ventricoli ad opera della corrente che dagli atri scende nelle camere inferiori del cuore; T: Ripolarizzazione ventricoli determinata dalla corrente che dai ventricoli ritorna indietro in direzione opposta. |
Secondo tale criterio si potrà avere:
- Infarto del miocardio con sopralivellamento del tratto ST o STEMI. Solitamente l’infarto STEMI e di tipo transmurale con lesioni che interessano l’intero spessore della parete del muscolo cardiaco.
- Infarto del miocardio senza sopralivellamento del tratto ST o NSTEMI. Solitamente un infarto del tipo NSTEMI è un infarto intramurale del tipo subendocardico e quindi con una lesione che non interessa l’intero spessore della parete muscolare ma solo una piccola regione in prossimità dell’endocardio.
- Infarto del miocardio Q. Nel tracciato ECG di un cuore sano l’onda Q è un piccolo picco negativo di brevissima durata (picco inferiore a 1/3 dell’onda R e durata inferiore a 0’04 secondi) e si genera quando il setto interventricolare (divisione muscolare tra i due ventricoli) si depolarizza. Una sua accentuazione in ampiezza di picco e durata è segno di necrosi del tessuto cardiaco. Di norma un infarto di tipo Q è un infarto transmurale con interessamento dell’intero spessore della tonaca muscolare.
- Infarto del miocardio non Q. Sono infarti ti tipo subendocardici e quindi che coinvolgono solo un terzo della parete ventricolare prossima all’endocardio. Sono così detti perché l’ECG non evidenzia onde Q di necrosi e sono diagnosticabili clinicamente (analisi di sintomi e segni) e presenza di markers di necrosi alle analisi del sangue. Sono naturalmente i più semplici da gestirsi.
Sintomi e segni dell’infarto cardiaco.
I sintomi dell’attacco cardiaco sono numerosi e vari e talvolta di non semplice ed immediata interpretazione di seguito ne riportiamo tutti i possibili più comuni che ovviamente non si presenteranno contemporaneamente.
- Dolore. La sintomatologia dolorosa dell’infarto è costante, intensa, urente (come di un bruciore intenso) ed è simile a quella causata dall’angina ma contrariamente a questa non subisce remissione né col riposo ne con l’assunzione di farmaci che procurano vasodilatazione. Il dolore è solitamente localizzato nella regione sottosternale a sinistra e si irradia al braccio sinistro e talvolta alla schiena al collo ed alla mandibola. In qualche caso il dolore interessa stomaco ed addome e può essere confuso con una comune indigestione, talvolta può anche essere interessato il braccio destro. Il dolore così descritto è uno dei sintomi distintivi dell’infarto, ma il qualche caso può non essere presente.
- Senso di costrizione e pesantezza al torace.
- Respirazione difficoltosa (dispnea).
- Palpitazione. Sensazione di aumento della frequenza del battito cardiaco.
- Malessere generalizzato.
- Sudorazione eccessiva e fredda.
- Nausea e raramente vomito.
- Ipertensione e/o ipotensione.
- Cianosi della pelle alle estremità.
- Tosse con emissione di muco rosaceo. Nel caso in cui all’infarto si accompagni edema polmonare.
- Stanchezza.
- Vertigini e testa leggera.
- Svenimento, confusione mentale e disorientamento. Nel caso in cui il paziente è anziano o se l’infarto è molto esteso. Tutte conseguenze dell’ipossia cerebrale ossia di scarso afflusso di sangue al cervello.
- Irrequietezza eccessiva e sensazione di catastrofe incombente.
I sintomi descritti sono come detto quelli più comuni ma non tutti i soggetti avvertono gli stessi sintomi e ancora essi non identificano il solo infarto del miocardio ma sono sovrapponibili a molti disturbi ben più banali. Comunque sia, poiché ai fini della sopravvivenza la rapidità dei soccorsi è fondamentale, in caso di dubbio è sempre buona norma contattare il 118 per assistenza medica di urgenza. Meglio un falso allarme che rischiare la vita. In qualche caso (soggetti anziani e diabetici) l’infarto può risultare assolutamente asintomatico o paucisintomatico si parla allora di infarto silente. Nelle donne l’infarto si presenta molto spesso con una sintomatologia anomala. Infatti il dolore al lato sinistro del torace ed al braccio, che è uno dei cardini della diagnosi clinica di infarto, sovente è assente. L’infarto può essere improvviso ossia sopraggiungere senza che alcun precedente lo preannunci o essere preceduto da una sintomatologia prodromica che è quella dell’angina ossia una sintomatologia dolorosa del torace localizzata sul lato sinistro della regione sottosternale che si instaura sotto sforzo e che scompare col riposo.
Approfondisci le caratteristiche dell'angina pectoris.
Cause e fattori di rischio dell’infarto del miocardio.
Come già detto l’infarto del miocardio si scatena quando una delle arterie coronariche che irrorano il cuore avvolgendolo in maniera simile ad una corona non adduce più sangue.
Le più comuni cause che possono determinare questa situazione sono:
- Aterosclerosi. Le coronarie come tutte le altre arterie del corpo sono soggette a deposizione di placche aterosclerotiche. Queste sono un inspessimento del lume interno per deposizione di materiale lipidico e per proliferazione del tessuto connettivo della parete. Le placche aterosclerotiche si infiammano e possono dar luogo a stenosi dei vasi e successive ulcerazioni. Su dette ulcerazioni possono svilupparsi trombi o emboli che andranno ad ostruire le coronarie ed originando l’infarto.
- Spasmi delle arterie coronarie. Alcune sostanze in primis la cocaina e le anfetamine possono causare spasmi delle coronarie ossia delle improvvise contrazioni che ne strozzano il lume. Tale spasmo può essere in qualche caso di entità tale da bloccare il flusso ematico e provocare l’infarto.
- Emboli che si staccano si staccano da vasi di altre regioni corporee. Possono raggiungere le coronarie ed ostruirne il lume e causare l’infarto.
- Dissezione dell’arteria coronarica.
Tra tutte le cause elencate ovviamente l’aterosclerosi è quella più ricorrente (costituisce ben più del 90% dei casi).
Fattori di rischio.
Esistono una serie di fattori per i quali è provato il coinvolgimento nei processi che aumentano la probabilità di sviluppare infarto del miocardio. Quasi tutti tali fattori sono comuni con la patologia coronarica con cui come si è visto l’infarto condivide molti tratti.I più comuni sono:
- Vecchiaia. L’invecchiamento del cuore aumenta il rischio di sviluppare infarti.
- Stile di vita inadeguato. Alcune cattive abitudini correlate al vivere quotidiano incrementano le possibilità di incappare nell’infarto del miocardio. Le più pericolose sono:
- Tabagismo. Il fumo di sigaretta contiene nicotina e monossido di carbonio sostanze che favoriscono l’insorgere della patologia coronarica e dell’infarto. La nicotina, infatti, agisce sul sistema nervoso simpatico o autonomo e provoca costrizioni e spasmi delle coronarie e quindi possibili infarti. I monossido di carbonio ha una maggiore affinità con l’emoglobina rispetto a quella che questa ha con l’ossigeno (250 superiore) perciò la sua inspirazione determina sangue meno ossigenato condizione che aumenta il rischio di infarto.
- Alcoolismo. Più che un aumento del rischio di infarto l’alcoolismo determina un aumento delle probabilità che l’infarto risulti fatale. Esso, infatti, interferisce con i meccanismi di difesa che il cuore mette in atto in caso di ischemia ossia di sbilancio tra la quantità di ossigeno ad esso necessaria e quella apportata dal sangue attraverso le coronarie.
- Obesità. Avere un peso corporeo più elevato del proprio peso forma induce livelli elevati di LDL (colesterolo cattivo) che tende a depositarsi sulle pareti interne delle arterie determinando formazione di placche aterosclerotiche. Placche che possono procurare infarto.
- Mancanza di attività fisica. L’attività fisica non solo aumenta la salute del cuore allenandolo a sforzi contenuti e ripetuti (il cuore è un muscolo) ma riduce anche il colesterolo cattivo ed aumenta i livelli di quello buono condizione che mantiene le arterie sgombre da deposizione di placche aterosclerotiche.
- Uso di droghe illegali come cocaina ed anfetamine. Possono indurre spasmi che strozzano il lume delle coronarie ed innescare l’infarto.
- Dieta sbilanciata con eccessivo consumo di grassi saturi. Può provocare ipertrigliceridemia ed ipercolesterolemia e quindi deposizione di placche aterosclerotiche.
- Esposizione ad inquinanti ambientali. I più comuni sono: monossido di carbonio, biossido di azoto,.
- Stress eccessivo.
- Genetica. Sono stati individuati circa trenta geni che sono stati associati ad un aumento del rischio di sviluppare infarto e che determinano una predisposizione scritta nei geni ad incappare nel problema.
- Malattie. Alcune malattie possono se non controllate provocare infarto o quantomeno aumentare il rischio di svilupparlo. Quelle più comuni sono: diabete, dislipidemie (elevate concentrazioni di lipidi nel sangue), ipertensione, alcune infezioni batteriche croniche come quella da Helicobacter pylori.
- Farmaci. Alcuni farmaci possono aumentare anche se in maniera molto marginale il rischio di sviluppare infarto. Un esempio è fornito dalla pillola anticoncezionale con combinazione di estradiolo e progestinico.
Diagnosi dell’infarto cardiaco.
Una prima ipotesi di diagnosi viene formulata in base a:
- Anamnesi del paziente se è possibile raccoglierla.
- Analisi dei sintomi e segni.
- Esame obiettivo e visita medica del paziente. Con essa si evidenzieranno: frequenza cardiaca (polso), pressione sanguigna, battito cardiaco mediante auscultazione con stetofonendoscopio, funzionamento dei polmoni.
Successivamente si procederà alle seguenti analisi ed indagini strumentali che avvaloreranno l’ipotesi di diagnosi formulata.
- ECG. E’ il test che per prima di ogni altra cosa viene effettuato ad un paziente con sospetto di infarto del miocardio in atto. In qualche caso viene fatto in ambulanza mentre si raggiunge l’ospedale. Esso registra e riporta in un grafico le attività elettriche del muscolo cardiaco. Alcuni esempi di tracciati ECG sono stati riportati nelle sezioni che precedono. Il principio che consente di diagnosticare l’attacco cardiaco con l’elettrocardiogramma è correlato alla constatazione che il tessuto cardiaco lesionato in seguito ad un infarto conduce gli impulsi elettrici in maniera differente da un tessuto cardiaco sano e per tale motivo fornisce un tracciato ECG differente.
- Analisi del sangue /dosaggio degli enzimi cardiaci. Solitamente vengono dosati:
-
- Toponina 1. E’ una proteina ad elevato peso molecolare che è presente nei muscoli e quindi nel cuore. Livelli elevati nel sangue costituiscono un significativo indice di infarto in atto.
- CK-MB. E’ un enzima presente nei muscoli e quindi nel miocardio. Livelli elevati nel sangue sono un indice di danno muscolare e quindi anche di un infarto in atto.
- LDH. E’ una famiglia di 5 enzimi: LDH1/LDH5 che sono diversamente distribuiti nei vari organi. Il loro dosaggio consente di determinare l’organo che ha subito il danno tissutale.
- Ecocardiogramma. E’ costituito da svariate tecniche che mediante ultrasuoni forniscono un’ immagine del cuore. L’immagine può essere statica e fornire dimensione delle cavità cardiache, spessore e stato delle pareti, anomalie dei vasi sanguigni e delle valvole che regolano i flussi ematici. Se invece le immagini sono dinamiche, sfruttando un principio fisico noto come effetto Doppler, si riesce a visualizzare: la contrattilità del muscolo, la velocità e direzione del flusso ematico. Tutti questi dati forniranno precise informazioni dei danni causati dall’infarto.
- Cateterismo coronarico e coronografia. Attraverso un’ arteria, di solito partendo dall’inguine, si introduce un catetere e lo si spinge fino a raggiungere il muscolo cardiaco. Si inietta a questo punto un opportuno mezzo di contrasto opaco ad i raggi X. In tal modo alla successiva radiografia le coronarie percorse dal contrasto risulteranno perfettamente visibili evidenziando le eventuali ostruzioni.
Approfondisci come si esegue una coronarografia.
- Risonanza magnetica nucleare e TC. Utilizzano differenti mezzi di scansione a spirale: campi magnetici la prima e raggi X la seconda, ma entrambe elaborano i risultati ottenuti con opportuni software dedicati. Si riesce così ad ottenere non solo immagini tridimensionali dell’organo ma anche sezioni trasversali di questo evidenziando in maniera precisa le possibili lesioni presenti.
- Elettrocardiogramma sotto sforzo. Consiste nell’eseguire un elettrocardiogramma mentre si sottopone il paziente ad uno sforzo aerobico, come una pedalata su una cyclette o una breve corsa su un tapis roulant. In tali condizioni l’ECG testa come il cuore ed i vasi che lo irrorano rispondono allo sforzo. L’esame risulta particolarmente utile in condizioni di convalescenza.
Trattamento dell’infarto del miocardio: farmaci, terapie ed intervento.
Il trattamento iniziale di un infartuato o sospetto tale viene praticato di norma prima dell’arrivo in ospedale e prevede:
- Morfina per lenire la sindrome dolorosa che però va usata con giudizio in quanto è un potente vasodilatatore e può indurre ipotensione e bradicardia.
- Vasodilatatori come nitroglicerina per abbassare la pressione se, come di norma accade nelle prime fasi dell’infarto, è elevata.
- Aspirina in dosi di 500 mg per fluidificare il sangue date le sue proprietà di antiaggregante piastrinico.
- Ossigeno con mascherine o cannule nasali per mantenere elevati i livelli di saturazione di emoglobina arteriosa.
In ospedale il paziente viene poi ricoverato in una Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) o in una stanza singola dotata di strumentazione di monitoraggio elettronico continuo delle sue funzioni vitali. Si inizia quindi, con estrema celerità, la terapia volta a riaprire la coronaria ostruita. La rapidità è essenziale più tempo passa e più la necrosi risulterà estesa.
Si procede somministrando farmaci trombolitici in grado di dissolvere il trombo che ostruisce il lume della coronaria.
Ai farmaci trombolitici si associano principi attivi che riducono il lavoro cardiaco onde consentirne il recupero. Si useranno beta bloccanti che riducono la frequenza cardiaca, la contrattilità e la pressione arteriosa del cuore consentendo al cuore di riposare e di consumare meno ossigeno.
Anche gli ACE inibitori e i vasodilatatori sono utilizzati, sempre col fine di minimizzare il lavoro del muscolo leso, in quanto riducono le resistenze periferiche incontrate dal progredire del flusso ematico.
Se è disponibile un laboratorio di emodinamica è buona norma effettuare una coronarografia nella prima ora dalla comparsa della sintomatologia e se necessario procedere con una angioplastica e l’installazione di uno stent.
L’angioplastica utilizza il catetere introdotto per effettuare la coronografia per portare sul luogo dell’ostruzione uno speciale palloncino che in situ viene gonfiato. In tal maniera si dilata la coronaria bloccata e si lascia defluire il sangue. Lo stent è una speciale rete metallica che posizionata sul luogo dell’ostruzione mantiene stabilmente dilatato il vaso.
Approfondisci procedura e rischi dell'angioplastica.
Per ragioni tecniche l’angioplastica non è sempre eseguibile. In questi casi si rende perciò necessario intervenire con chirurgia tradizionale ed impiantare uno o più vasi che by passano la coronaria o i rami ostruiti.
Superata la fase acuta dell’infarto si rende necessaria una terapia riabilitativa che ovviamente varia da persona a persona e che consiste in un programma di training fisico che sarà formulato da un gruppo di specialisti in funzione delle evidenze che l’elettrocardiogramma sotto sforzo fornisce e da un rimodellamento dello stile di vita. Rimodellamento che dovrà contemplare ed eliminare tutte quelle cattive abitudini che costituiscono fattori di rischio per un infarto e che sono state esaminate nella sezione dedicata.
Prevenzione primaria dell’infarto.
La prevenzione dell’infarto consiste ovviamente nel mettere tutte le strategie possibili in grado di ridurre la probabilità che l’evento si verifichi. Essa si fonda sul principio di minimizzare i fattori di rischio su cui vi è possibilità di intervento e quindi :
- nel condurre una vita sana riducendo i fattori di rischio correlati allo stile di vita;
- tenere sotto controllo le malattie che aumentano il rischio di infarto;
- sottoporsi costantemente a controlli medici periodici: misura della pressione sanguigna, visita cardiologica, ECG.
Conseguenze. La prevenzione secondaria dell’infarto.
La prevenzione secondaria è tesa a scongiurare la possibilità che l’evento si ripresenti esso consta di:
- Corretto stile di vita.
- Terapia farmacologica. Solitamente è costituita da:
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- farmaci antiaggreganti (aspirin) ;
- beta bloccanti ed Ace inibitori che consentono di mantenere sotto controllo la pressione e alleviano il lavoro cardiaco;
- statine per contenere i livelli di colesterolo;
- eparine se vi sono problemi di angina.
- Controlli medici periodici.
Complicanze e prognosi.
Sono possibili numerose e severe complicanze di un infarto del miocardio. Le più comuni sono:
- Aritmie del ritmo cardiaco. Sono particolarmente temibili e possono risultare fatali. Sono una conseguenza della diversa conduzione dei segnali elettrici del tessuto necrotico rispetto a quello sano.
- Insufficienza cardiaca. Il tessuto cicatriziale, rispetto al normale, ha diverse caratteristiche di contrattilità e di conseguenza la gittata ematica del cuore infartuato diminuisce determinando insufficienza.
- Cedimento della parete ventricolare. La condizione che può verificarsi entro 10 giorn è quasi sempre fatale
- Compromissione delle valvole e loro cattivo funzionamento con conseguente scompenso cardiaco.
- Aneurisma ventricolare. Il muscolo danneggiato può formare un rigonfiamento della parete del ventricoloche può ridurre la capacità del cuore di pompare.
La prognosi.
La prognosi ovviamente dipende dall’entità della necrosi, pertanto sarà tanto più benevola quanto più rapido ed efficace sarà l‘intervento medico. Altro parametro che influenza pesantemente la prognosi è lo stato di salute generale del paziente. Nei paesi industrializzati e quindi in cui in cui esistono delle statistiche di un certo affidamento si valuta che circa il 5% dei pazienti che arrivano in un presidio ospedaliero con un infarto muore prima di essere dimesso e circa il 10% muore nell’anno successivo.
Epidemiologia dell’infarto.
Nel 2005 il numero di infarti del miocardio è stato di 118.000 dei quali 75000 sono di uomini e 43000 sono donne. Nel 2001 il numero era di 96000. Il rapporto tra uomini e donne colpiti da infarto fino ai 60 anni e maggiore di 2:1. Dopo tale età si livella. Il motivo è la protezione degli estrogeni.