Farmaci chemioterapici: classificazione, meccanismo d’azione ed effetti collaterali
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I farmaci chemioterapici sono medicinali utilizzati in oncologia per contrastare lo sviluppo dei tumori. Ma come vengono classificati? Qual è il meccanismo d’azione? E quali sono gli effetti collaterali?
Cosa sono i farmaci chemioterapici?
Nell'accezione comune, il termine “chemioterapico” viene usato come sinonimo di farmaco antitumorale; in realtà, ciò non è del tutto corretto, dal momento che quella degli agenti antineoplastici o antiblastici, che dir si voglia, è solo una delle classi appartenenti a questa grande famiglia; l’altra è quella degli agenti antimicrobici o antinfettivi, comprendente farmaci che agiscono contro batteri (antibiotici), funghi (antimicotici), virus (antivirali) e parassiti di vario tipo.
A cosa servono?
Come abbiamo anticipato, i chemioterapici propriamente detti sono farmaci usati in oncologia con lo scopo di contrastare l’accrescimento delle neoplasie, promuoverne la remissione e mantenere gli effetti ottenuti nel tempo.
Le neoplasie sono masse anomale e neoformate, le cui cellule si moltiplicano in modo eccessivo e scoordinato rispetto al tessuto d’origine, nonostante la cessazione degli stimoli che ne hanno causato l’insorgenza.
In particolare, questi farmaci rappresentano la terapia d’elezione dei tumori di piccole dimensioni (ben vascolarizzati e, dunque, facilmente accessibili al farmaco), mentre vengono usati come supporto nel trattamento di quelli più estesi, in quanto:
- somministrati prima della radioterapia, che danneggia i tumori grazie ai raggi X, sensibilizzano le cellule maligne alle radiazioni;
- somministrati prima dell’intervento chirurgico, invece, fanno regredire il tumore rendendolo operabile;
- infine, aiutano a distruggere piccole metastasi, masse tumorali distanti dal sito originario, in seguito alla radioterapia o all'intervento chirurgico.
Classificazione degli anticancro e meccanismo d’azione.
Quella degli antitumorali è una categoria piuttosto eterogenea in quanto a struttura chimica e meccanismo d’azione, ed è proprio in base a quest’ultimo che vengono comunemente classificati; conoscere il modo in cui agiscono, infatti, consente all'oncologo di stabilire quali farmaci lavorano meglio insieme contro uno specifico tumore, i dosaggi e i tempi di somministrazione, nonché la previsione degli effetti avversi.
Tenendo conto di questo criterio, quindi, possiamo dividere gli antineoplastici in:
- farmaci citotossici. Sono in grado di interferire col ciclo vitale delle cellule, riducendo la capacità di accrescimento, la proliferazione, e la sopravvivenza.
- Farmaci ad azione mirata. Sono molecole introdotte di recente, più maneggevoli e selettive delle classiche.
Vediamo, a seguire, come si caratterizzano nel dettaglio queste macrocategorie di chemioterapici sopra elencate e come agiscono sul ciclo cellulare.
Farmaci antitumorali tradizionali: i citotossici.
Sono gli antitumorali classici, la cui peculiarità è quella di interferire col ciclo cellulare: una serie di fasi cui vanno incontro tutte le cellule, sane e tumorali.
Possiamo riassumere le varie fasi come segue:
- Fase di riposo (G0). La cellula è quiescente ma pronta ad entrare in fase proliferativa, qualora giunga lo stimolo adatto.
- Prima fase di accrescimento (G1). La cellula si accresce, preparandosi a replicare il suo materiale genetico.
- Fase di sintesi (S). La cellula duplica il DNA, in modo che alle cellule figlie venga trasmesso lo stesso materiale genetico.
- Seconda fase di accrescimento (G2). La cellula si accresce ulteriormente in vista della divisione cellulare.
- Fase di mitosi (M). La cellula madre si divide in due figlie identiche ad essa, in tutto e per tutto.
I farmaci citotossici agiscono sulle cellule in fase proliferativa, le quali rappresentano solo una frazione delle cellule tumorali.
Nei tumori, infatti, coesistono:
- cellule quiescenti, che possono entrare nel ciclo cellulare se stimolate adeguatamente (cellule staminali o indifferenziate);
- cellule differenziate ma non proliferanti;
- cellule in continua proliferazione, suscettibili agli antiblastici.
Dal momento che il numero di cellule tumorali nelle lesioni clinicamente evidenti è superiore ad un miliardo, e che i farmaci citotossici uccidono meno del 99% di esse, è fondamentale somministrare questi farmaci in più cicli, in modo da eliminarne il maggior numero possibile; senza contare, inoltre, che questo schema terapeutico consente alle cellule sane di riprendersi dalla chemio.
Questi farmaci, infatti, proprio a causa del loro meccanismo d’azione, non sono in grado di discriminare le cellule tumorali da quelle sane di per sé prolifiche, quali le cellule staminali emopoietiche (dalle quali hanno origine le cellule del sangue) e le cellule epiteliali, come quelle che rivestono il tratto digerente e la cute. Alternare la chemio a periodi di pausa della durata di qualche settimana, è quindi fondamentale per non danneggiare eccessivamente questi tessuti.
In relazione al ciclo cellulare, è possibile classificare i farmaci citotossici in:
- farmaci non fase-dipendenti, che possono interferire in qualsiasi punto del ciclo con una risposta dose-dipendente (la percentuale di cellule morte è direttamente proporzionale alla dose); Essi raggruppano gli agenti alchilanti, I complessi di coordinazione del platino e gli antibiotici antitumorali.
- farmaci fase-dipendenti, cosiddetti in quanto interferiscono con una determinata fase. In questo caso la risposta non è dose-dipendente: raggiunto un certo valore la percentuale di cellule morte si stabilizza. Raggruppano i G1-dipendenti: asparaginasi, gli S-dipendenti: antimetaboliti, idrossiurea, derivati della podofillotossina e della camptotecina, i G2-dipendenti: bleomicina.
Agenti alchilanti.
La peculiarità di questi farmaci è quella di legarsi agli acidi nucleici (DNA e RNA) e alle proteine, danneggiandoli; in questo modo, non solo viene impedito alle cellule di svilupparsi e proliferare, ma vengono “indotte al suicidio” (apoptosi).
Benché possano colpire diversi bersagli, i maggiori effetti citotossici si verificano quando gli alchilanti si legano al DNA, grazie al quale le cellule sintetizzano prima l’RNA e poi le proteine, indispensabili per il corretto funzionamento cellulare.
Gli agenti alchilanti, in particolare quelli bifunzionali, possono provocare la formazione di legami crociati tra i due filamenti, alterando la struttura del DNA. Nelle cellule a rapida proliferazione, come quelle presenti nei tumori, questi effetti sono deleteri: esse, infatti, non hanno tempo per riparare i filamenti danneggiati, col risultato che queste anomalie bloccano il ciclo cellulare, innescando l’apoptosi(morte cellulare).
I farmaci alchilanti si suddividono ulteriormente in sei gruppi, caratterizzati da strutture e impieghi differenti, dei quali forniamo una breve descrizione nella tabella successiva:
- Mostarde azotate: sono gli antitumorali più vecchi, la cui introduzione risale agli anni ‘40. Vengono impiegate nel trattamento dei linfomi, della leucemia e di alcuni tumori solidi (mammella, ovaio, cervice, testicoli e polmoni).
Tra esse troviamo:
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- Etilenimine e metilmelamine: sono impiegate nella terapia di alcuni tumori solidi (ovaio, mammella e vescica).
Tra esse troviamo:
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- Derivati della metilidrazina. L’unico usato è la procarbazina, convertita in una specie particolarmente reattiva una volta giunta nel fegato. Dal momento che ha un forte potere mutageno e cancerogeno, il suo impiego è limitato al linfoma di Hodgkin, alla dose di 100 mg/m2 per due settimane in associazione a mecloretamina, vincristina e prednisone (terapia MOPP).
- Alchilsolfonati. Il busulfan è utilizzato nella leucemia mieloide cronica (CML), con lo scopo di ridurre la conta dei globuli bianchi. Si inizia con una dose di 2-8 mg/die negli adulti e 1,8 mg/m2/die nei bambini, modificabile in base alla risposta del paziente; ottenuta una conta non superiore alle 10.000 cellule/m3, allora si somministra una dose di mantenimento pari a 1-3 mg/die.
- Nitrosuree: grazie alle loro caratteristiche strutturali, questi farmaci attraversano la barriera ematoencefalica e si accumulano nel sistema nervoso, caratteristica che le rende importanti per il trattamento dei tumori cerebrali.
Tra esse troviamo:
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- Triazeni: trovano impiego nel trattamento dei melanomi, ma anche del linfoma di Hodgkin e del glioma maligno.
Tra essi troviamo:
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I complessi di coordinazione del platino.
Cisplatino, carboplatino e oxaliplatino sono antitumorali ad ampio spettro, con un meccanismo d’azione simile agli alchilanti; infatti, una volta penetrati nelle cellule essi si idratano, dando luogo a specie altamente reattive che si legano ad uno o entrambi i filamenti del DNA; di conseguenza, i processi di duplicazione e trascrizione dell’acido nucleico vengono inibiti, si verificano errori nella sintesi proteica e si attiva il meccanismo che porta all'apoptosi.
- Il cisplatino è il capostipite del gruppo, utilizzato con successo nei tumori ai testicoli e alle ovaie, dei quali induce - in associazione ad altri farmaci - la remissione completa nella gran parte dei pazienti; esso, inoltre, sensibilizza diversi tumori (polmoni, esofago, testa e collo) alla radioterapia, aumentandone le probabilità di successo. Il cisplatino può essere somministrato per via endovenosa, secondo schemi differenti; il dosaggio abituale è di 20 mg/m2/die per cinque giorni, preceduto dall'infusione di soluzione fisiologica, in modo da limitarne la tossicità renale.
- Carboplatino. Viene utilizzato nei pazienti con scarsa tollerabilità al cisplatino, nel trattamento dei tumori ovarici e polmonari. Il carboplatino viene somministrato per fleboclisi una volta ogni due settimane e la dose viene aggiustata in base agli effetti sulla funzionalità renale.
- Oxaliplatino. Il farmaco, dotato di uno spettro d’azione diverso rispetto ai precedenti, è stato approvato nella terapia dei tumori avanzati al colon-retto, in associazione al fluorouracile e alla dose di 65-130 mg/m2.
Antimetaboliti.
Gli antimetaboliti bloccano la cellula in fase S, quella di replicazione del DNA, sostituendosi ai substrati fondamentali per la sintesi di questo acido nucleico. In relazione al substrato sostituito, possiamo classificarli in due gruppi principali:
- analoghi dell’acido folico o antifolici. I farmaci in questione hanno una struttura molto simile all'acido folico, la vitamina B9, indispensabile per la sintesi del nucleotide TMP (timidina-5’-monofosfato o timidilato) e, quindi, del DNA. Sostituendosi all’acido folico, gli analoghi vengono convertiti in metaboliti tossici dalla DHFR, i quali si accumulano, inibiscono la timidilato sintetasi e quindi la duplicazione del materiale genetico; inoltre, poiché il DNA è necessario per la sintesi di RNA e proteine, le cellule smettono di funzionare e vanno incontro ad apoptosi.
- Analoghi delle basi azotate. Come abbiamo visto, le basi azotate sono fondamentali per la sintesi dei nucleotidi e, quindi, degli acidi nucleici. Sostituendosi ad esse, gli analoghi portano alla sintesi di nucleotidi aberranti, i quali bloccano la replicazione del materiale genetico, la sua trascrizione (il trasferimento dell’informazione genetica dal DNA all’RNA) e la sintesi delle proteine, effetti che minano la sopravvivenza della cellula.
Gli antimetaboliti più diffusi sono:
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Idrossiurea.
L’idrossiurea ostacola la produzione dei deossinucleotidi (le unità del DNA) a partire dai ribonucleotidi (le unità di RNA), catalizzata dall’enzima ribonucleotide difosfato reduttasi. Il farmaco viene usato in associazione alla radioterapia o ad altri chemioterapici come antileucemico, da assumere per via orale secondo due schemi terapeutici: 80 mg/kg una volta ogni tre giorni oppure 20-30 mg/kg/die tutti i giorni.
L-asparaginasi.
La L-asparaginasi è un enzima che scinde l’asparagina (un aminoacido non essenziale) in ammoniaca e acido aspartico, il cui impiego si basa sul fatto che le cellule tumorali captano l’aminoacido dal sangue, poiché incapaci di produrlo; la L-asparaginasi, quindi, priva queste cellule di un componente fondamentale per la sintesi delle proteine, bloccandole in fase G1. Questo farmaco viene usato nel trattamento della leucemia linfocitica acuta (ALL), alla dose di 6.000-10.000UI endovena ogni tre giorni per un mese, in associazione a metotrexato, doxorubicina o vincristina.
Antibiotici antitumorali.
Sono antibiotici di origine naturale che, per la loro marcata tossicità, non vengono più usati come battericidi. Eccezion fatta per la bleomicina, attiva nella seconda fase di accrescimento, tutti gli altri posseggono un’azione indipendente dalla fase considerata.
Vediamoli nel dettaglio:
- Bleomicina (A2 e B2). Prodotte dallo Streptococcus verticillus, le bleomicine danneggiano il DNA attraverso un meccanismo che coinvolge la produzione di radicali liberi (stress ossidativo). Le cellule tumorali, bloccate in fase G2 con gravi alterazioni cromosomiche, muoiono quindi per apoptosi. Viene utilizzata nel trattamento del carcinoma squamoso della cervice uterina, del linfoma di Hodgkin e dei tumori a cellule germinali testicolari, alla dose di 10-30 UI/m2, per via endovenosa o intramuscolare.
- Dactinomicina. Il farmaco, prodotto dallo Streptomyces parvulus, è in grado di intercalarsi nella doppia elica e interagire con la coppia citosina-guanina; ciò provoca una deformazione della struttura che impedisce al DNA di essere duplicato e trascritto, nonché la frammentazione enzimatica dei filamenti; anche in questo caso, le cellule muoiono per apoptosi. Il farmaco è in grado di curare il tumore di Wilms nei bambini e il rabdomiosarcoma, quando utilizzato in associazione a radioterapia, chirurgia o altri farmaci (vincristina, ciclofosfamide); la dose abituale è di 10-15μg/kg, somministrati endovena per cinque giorni; il trattamento può essere ripetuto ogni due/quattro settimane.
- Antracicline. Questi farmaci, anch'essi prodotti dal genere Streptomyces, danneggiano il materiale genetico attraverso lo stress ossidativo (come la bleomicina), la distorsione della doppia elica e la sua frammentazione (analogamente alla dactinomicina). Sono considerate tra i farmaci antitumorali più importanti, essendo impiegate sia nei tumori solidi (doxorubicina), sia nei tumori liquidi (daunorubicina).
Gli antibiotici antitumorali più diffusi sono:
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Inibitori delle topoisomerasi.
I derivati della camptotecina e della podofillotossina arrestano il ciclo cellulare in fase S, inibendo le topoisomerasi I e II, enzimi fondamentali per la replicazione, trascrizione e riparazione del DNA.
Una volta legata al DNA, la topoisomerasi taglia uno dei due filamenti in modo che quello intatto possa passare attraverso il sito di rottura; fatto ciò, l’enzima ripara il filamento reciso e si stacca dall'acido nucleico, consentendo la replicazione dei due filamenti separati.
I farmaci suddetti si legano all'enzima una volta che ha reciso il primo filamento, impedendogli di ripararlo; ne consegue l’accumulo di frammenti di DNA e la successiva morte cellulare.
Ma ora, vediamo in dettaglio i singoli farmaci:
Derivati della camptotecina: sono impiegati nel trattamento dei tumori solidi:
- Topotecan. Utilizzato nel tumore polmonare a piccole cellule e nel cancro ovarico, questo farmaco viene somministrato con la flebo alla dose di 1,5 mg/m2/die per cinque giorni consecutivi ogni tre settimane.
- Irinotecan. E’ la prima scelta contro il cancro al colon-retto avanzato, da solo (in caso di resistenza al fluorouracile) o in associazione ad un antimetabolita pirimidinico (in pazienti non ancora sottoposti alla chemio). Può essere somministrato endovena alla dose di 100 mg/m2 alla settimana o 150 mg/m2 a settimane alterne.
Derivati della podofillotossina: vengono utilizzati nei linfomi, nelle leucemie e in alcuni tumori solidi:
- Etoposide. Viene usato nella terapia dei tumori testicolari (50-100 mg/m2 endovena per cinque giorni) in associazione a bleomicina e cisplatino, e nel carcinoma polmonare a piccole cellule (50-120 mg/m2/die per tre giorni) insieme a cisplatino e ifosfamide; è inoltre efficace nel linfoma di Hodgkin e nel linfoma di Kaposi. I cicli devono essere ripetuti ogni mese.
- Teniposide. Alla dose parenterale di 50 mg/m2/die per cinque giorni, è somministrato con la citarabina nella leucemia linfocitica acuta infantile e in alcuni tumori cerebrali (glioblastoma e neuroblastoma).
Farmaci antimitotici.
Si tratta di composti naturali, estratti dalla Vinca rosea e dal Taxus baccata, in grado di compromettere la divisione cellulare. Vediamoli nel dettaglio:
- alcaloidi della vinca. Bloccano la formazione del fuso mitotico, una struttura che separa i cromosomi destinati alle cellule figlie. Il fuso mitotico è costituito da unità di base chiamate microtubuli, formate dall’aggregazione di due proteine: le tubuline α e β. Gli alcaloidi della vinca, legandosi alla β-tubulina, impediscono la formazione dei microtubuli, col risultato che le cellule non possono dividersi e vanno incontro ad apoptosi.
- Taxani. Anch’essi si legano alla β-tubulina, tuttavia, contrariamente agli alcaloidi della vinca non contrastano la formazione del fuso, piuttosto ne impediscono la dissociazione, formando gomitoli e altre strutture aberranti; anche in questo caso, la mitosi si arresta e la cellula va incontro ad apoptosi.
Tra gli alcaloidi della vinca attivi nei linfomi, nelle leucemie e in alcuni tumori solidi troviamo:
- Vinblastina. Somministrata endovena alla dose di 0,3 mg/kg, la vinblastina è usata principalmente nei tumori testicolari metastatici con bleomicina e cisplatino, e nel linfoma di Hodgkin, in associazione ad adriamicina, bleomicina e dacarbazina.
- Vincristina. Associata al prednisone, viene usata come farmaco di prima linea nel trattamento delle leucemie dell’infanzia, alla dose di 2 mg/m2 alla settimana per via endovenosa; inoltre, essa rientra nello schema MOPP per il linfoma di Hodgkin, alla dose di 1,4 mg/m2.
- Vinorelbina. Usata nel trattamento dei tumori polmonari e mammari, viene somministrata endovena alla dose di 30 mg/m2 o di 20-25 mg/m2 qualora il paziente sia stato già sottoposto a chemioterapia.
Tra i Taxani efficaci contro varie forme di tumore solido:
- Paclitaxel. Viene somministrato endovena ogni tre settimane (alla dose di 135-175 mg/m2) oppure settimanalmente (alla dose di 80-100 mg/m2), nel trattamento dei tumori alle ovaie, al seno, ai polmoni, alla testa e al collo.
- Docetaxel. Possiede indicazioni e modalità di somministrazione analoghe al paclitaxel.
Farmaci di ultima generazione: le terapie antitumorali mirate (Targeted therapies).
Eccoci giunti ai farmaci più recenti, che non colpiscono le cellule più prolifiche, bensì quelle che presentano particolari caratteristiche, come l’espressione anomala di determinati geni, il basso grado di differenziazione, la presenza di antigeni o alterazioni della secrezione ormonale.
Modulatori della risposta biologica.
I modulatori della risposta biologica influenzano positivamente la risposta dell’organismo ai tumori, in modo diretto (agenti differenzianti) o indiretto (immunoterapici).
- Agenti differenzianti: promuovono il differenziamento delle cellule immature, abbondanti nei tumori; tra questi abbiamo la tretinoina (ATRA), un derivato della vitamina A. Usata in monoterapia, l’ATRA induce la remissione completa della leucemia promielocitica acuta, mentre è curativa quando associata alle antracicline. Viene somministrata alla dose di 45 mg/m2/die, fino ad ottenere la remissione del tumore.
- Immunoterapici: stimolano le difese immunitarie dell’ospite contro il tumore. Vengono ulteriormente suddivisi in: molecole che supportano il sistema immunitario, come IL-2, il cui impiego si basa sulla capacità di attivare i linfociti T contro i tumori renali, anticorpi monoclonali che riconoscono le cellule tumorali grazie alla presenza di particolari molecole di superficie (antigeni), immunotossine e vaccini come il Provenge®, approvato nel 2010 dalla FDA per il cancro alla prostata.
Inibitori delle tirosin chinasi.
Agiscono sulle cellule dotate di tirosin chinasi alterate, recettori avvianti la proliferazione cellulare:
- Imatinib. Somministrato per via orale alla dose di 400-600 mg/die, apporta benefici notevoli nella leucemia mieloide cronica, nella leucemia mielomonocitica cronica e nei tumori stromali del tratto digerente.
- Gefitinib. E’ attivo contro il cancro al polmone non a piccole cellule, alla dose orale di 250 mg/die.
- Sorafenib. E’ utilizzato nel trattamento del carcinoma epatico non operabile.
Farmaci ormonali.
Essi modulano la produzione degli ormoni sessuali, coinvolti nella genesi di alcune neoplasie.
- Antiandrogeni. Utilizzati nel cancro metastatico alla prostata, possono bloccare i recettori per gli androgeni (bicalutamide, flutamide) o ridurre la produzione di questi ormoni (agonisti e antagoni del GnRH).
- Antiestrogeni. Attivi sul cancro mammario, modulano/bloccano l’attivazione dei recettori per gli estrogeni (tamoxifene/fulvestrant) o inibiscono la produzione degli estrogeni.
Bifosfonati.
Sono farmaci normalmente usati nell'osteoporosi, poiché contrastano la distruzione del tessuto osseo mediata dagli osteoclasti. Tra i vari bifosfonati, l’acido zoledronico si è dimostrato attivo contro le neoplasie ossee metastatiche.
Modalità e tempi di somministrazione di questi medicinali.
Normalmente, lo specialista prescrive un’associazione di due o più farmaci da assumere ciclicamente, in modo da ottimizzarne l’efficacia contro il tumore (poiché i farmaci agiscono in sinergia) e, allo stesso tempo, ridurre la comparsa di effetti indesiderati e resistenza farmacologica (vantaggi correlati all'effetto sinergico, che consente di lavorare con dosaggi inferiori).
La somministrazione dei farmaci chemioterapici viene fatta mediante iniezione (endovenosa, intramuscolare) o, come spesso accade, per infusione endovenosa (fleboclisi). Rispetto all'iniezione diretta, quest’ultima consente di regolare la quantità di farmaco che raggiunge la circolazione nell'unità di tempo, limitando i danni a carico della vena perforata e rendendo più sopportabili gli effetti avversi (nausea ed emesi).
Un’altra via di somministrazione diffusa è quella orale: diversi farmaci, infatti, tra cui la capecitabina (Xeloda®), l’idrossiurea (Oncocarbide®) e il melfalan (Alkeran®), possono essere assunti in compresse poiché ben assorbiti nell'intestino.
Benché sia la tecnica più diffusa, la fleboclisi non sempre è quella più adatta per somministrare i farmaci; nel caso di tumori localizzati in particolari organi, infatti, è preferibile ricorrere ad altre vie che - introducendo il farmaco direttamente nel sito bersaglio - limitano l’incidenza di reazioni avverse dovute alla diffusione nei tessuti sani.
- Via topica. L’applicazione di creme o lozioni chemioterapiche consente di intervenire sui tumori cutanei e sulle lesioni precancerose.
- Via intralesionale. Il farmaco viene iniettato direttamente nel tumore (localizzato, di solito, sopra o sotto la cute).
- Via intrarteriosa. Il farmaco viene introdotto, attraverso un catetere, nell'arteria principale che irrora il distretto interessato; è usata nel trattamento dei tumori epatici (perfusione epatica isolata) e degli arti inferiori (perfusione isolata della gamba).
- Via intravescicale, utilizzata per i tumori alla vescica allo stadio iniziale. Il farmaco viene introdotto direttamente in vescica attraverso un catetere, dove vi permane per circa due ore, dopodiché viene drenato.
- Via intrapleurica. Consiste nell'introdurre il farmaco nelle pleure, membrane sierose che avvolgono i polmoni, con lo scopo di agire sui tumori ivi presenti (mesotelioma) e tumori al polmone o alla mammella che hanno metastatizzato nelle pleure stesse.
- Via intraperitoneale. Il farmaco è introdotto nel peritoneo, una membrana che riveste la cavità addominale e i visceri, ed è l’ideale per trattare i tumori del tratto digerente; è altresì impiegata per il trattamento dei tumori ovarici (il peritoneo, infatti, riveste parzialmente la cavità pelvica).
- Via intratecale. E’ utilizzata per somministrare farmaci che, a causa delle loro caratteristiche strutturali, non riescono a raggiungere il sistema nervoso quando somministrati endovena; attraverso una puntura lombare o un particolare serbatoio impiantato sottocute (Ommaya reservoir), il farmaco viene veicolato direttamente al cervello o al midollo spinale. La via intratecale può essere utile contro i linfomi e le leucemie.
Preparazione.
Prima di procedere con l’infusione è necessario ricostituire il medicinale, ovvero dissolvere la polvere nel solvente, e diluirlo con soluzione fisiologica; la sacca per la fleboclisi dovrà riportare in etichetta il nome del farmaco, il dosaggio (espresso in mg/kg o mg/m2) e le generalità del paziente; inoltre, dovrà essere protetta da una busta nel caso di farmaci fotosensibili.
La preparazione del chemioterapico deve essere effettuata in laboratorio, sotto cappa, da personale qualificato e dotato delle opportune protezioni, in modo da evitare il contatto col farmaco.
Il ciclo di chemio, la cui durata può variare da uno a più giorni consecutivi, verrà ripetuto a distanza di qualche settimana, in modo da dare il tempo alle cellule sane - anch'esse colpite dai farmaci - di riprendersi.
La chemioterapia fa male? Effetti collaterali della terapia antitumorale.
Per completare il quadro sui chemioterapici, non possiamo esimerci dal parlare delle reazioni avverse associate alla terapia, estremamente variabili in base alle caratteristiche del paziente e, soprattutto, a quelle del farmaco.
Come abbiamo accennato, infatti, il rischio che si manifestino è maggiore con l’uso dei citotossici, poco selettivi, ma anche di dosaggi elevati e tempi di somministrazione prolungati.
Approfondisci gli effetti collaterali della chemioterapia.
Gran parte di queste reazioni è dovuta alla tossicità sui tessuti normalmente prolifici, quali il midollo osseo e gli epiteli, benché non manchino quelle associate a particolari categorie.
Stomatite.
Gli antimetaboliti e gli antibiotici possono irritare la mucosa orale, causando la comparsa di bruciore, arrossamento e, talvolta, piccole ulcere. Questo quadro caratteristico, chiamato stomatite, si manifesta dopo quattro/cinque giorni e può durare fino a tre settimane, periodo durante il quale il paziente dovrà curare la propria igiene orale (uso di setole morbide e filo interdentale) e consumare cibi freschi e non irritanti. Possono verificarsi anche perdita di gusto e olfatto, come conseguenza del danno ai recettori gustativi e olfattivi. Questi sintomi possono iniziare già dopo la prima somministrazione, e protrarsi per tutta la durata della terapia.
Nausea e vomito.
La quasi totalità degli antitumorali causa questi effetti avversi, poiché irritano la mucosa gastrica o agiscono stimolando la zona chemocettrice del vomito, localizzata nel midollo allungato. Possono comparire a distanza di qualche minuto/ora dall'inizio della terapia (sintomi acuti) oppure dopo qualche giorno (sintomi ritardati), benché possano farlo prima della chemio nelle persone ansiose (sintomi anticipatori); in ogni caso, tendono a scomparire nel giro di due giorni. I farmaci antiemetici vengono somministrati in associazione agli antineoplastici in modo da prevenire questi effetti.
Diarrea o stipsi.
L’alterazione del transito intestinale può manifestarsi in seguito all’uso di alcuni antimetaboliti e antibiotici antitumorali, che irritano la mucosa intestinale. Oltre a una dieta adeguata, è prevista l’assunzione degli antidiarroici o dei lassativi per porre fine a questi effetti.
Alopecia e fragilità ungueale.
Diversi farmaci, tra cui: ciclofosfamide, dacarbazina, vinblastina, taxani ed epipodofillotossine, possono esplicare i loro effetti tossici a livello dello strato germinativo di unghie e capelli, rendendoli fragili e soggetti a caduta. L’alopecia si manifesta dopo una/due settimane dalla chemio ed è reversibile: infatti, i capelli e i peli corporei ricrescono entro tre mesi.
Dermatosi.
La secchezza è il disturbo cutaneo più frequente, benché possano manifestarsi anche iperpigmentazioni ed eritemi nel caso di farmaci fotosensibilizzanti (bleomicina, busulfan, metotrexato). In questi casi è necessario l’uso di un fattore di protezione elevato, di detergenti delicati e di creme idratanti e lenitive.
Mielodepressione.
La tossicità sul midollo osseo è comune a tutti gli antitumorali, benché gli effetti più marcati si abbiano con gli agenti alchilanti: questi farmaci, infatti, riducono la conta dei globuli bianchi già dopo sei giorni, con tempi di ripresa pari a due/tre settimane. La distruzione delle cellule staminali del midollo può manifestarsi con leucopenia (riduzione dei globuli bianchi), anemia (riduzione dei globuli rossi) e trombocitopenia (riduzione delle piastrine).
Febbre.
Compare come conseguenza della leucopenia, che aumenta la suscettibilità dell’organismo alle infezioni; se supera i 38°C ed è accompagnata da brividi e/o diarrea, tosse, dolore nella zona di inserimento del catetere venoso, disturbi della minzione, occorre chiamare il medico.
Stanchezza.
Sintomo comune a tutti i pazienti oncologici, la stanchezza può essere dovuta all'azione del farmaco stesso, alla riduzione dei globuli rossi o ad un semplice fattore psicologico.
Emorragie.
La riduzione delle piastrine circolanti fluidifica il sangue, aumentando la predisposizione al sanguinamento. In caso di emorragie improvvise della durata superiore ai dieci minuti, di sangue nelle feci, nelle urine o nel vomito, della presenza di petecchie a punta di spillo su gambe e braccia, è necessario rivolgersi al medico.
Cardiomiopatie.
La tossicità cardiaca è tipica delle antracicline, farmaci che danneggiano i miocardiociti attraverso un meccanismo che coinvolge la produzione di radicali liberi e l’attivazione dell’apoptosi. Già in acuto si possono osservare aritmie reversibili, mentre la somministrazione prolungata porta ad insufficienza cardiaca con un tasso di mortalità del 50%, qualora si assumano dosi superiori a 550 mg/m2.
Neuropatia periferica.
Gli alcaloidi della vinca, inibendo la formazione dei microtubuli, esplicano i loro effetti tossici anche sul sistema nervoso, nel quale essi abbondano e svolgono importanti funzioni. Il disturbo si manifesta con intorpidimento degli arti, seguito da formicolio, perdita dei riflessi e debolezza muscolare; la perdita delle funzioni motorie determina l’interruzione della terapia.
Nefrotossicità.
Cisplatino e ifosfamide sono particolarmente tossici per il rene, poiché danneggiano le sue unità funzionali (i nefroni), portando ad insufficienza renale nel 30-33% dei pazienti; la ciclofosfamide, invece, esplica la sua tossicità a livello della vescica, causando cistite emorragica (l’infiammazione della mucosa accompagnata da perdite ematiche). Questi effetti possono essere prevenuti con una buona idratazione (infusione di fisiologica prima, durante e dopo il trattamento), con la somministrazione concomitante di mesna, un farmaco che neutralizza i metaboliti tossici di ifosfamide e ciclofosfamide, e infine con l’uso di formulazioni liposomiali del cisplatino, che ne riducono la tossicità pur mantenendo il profilo di efficacia.
Leucemia secondaria.
Sembra un paradosso, ma alcuni antiblastici (soprattutto procarbazina e temozolomide) causano tumori: nel 5% dei pazienti, infatti, dopo quattro anni può manifestarsi la leucemia non linfocitica, preceduta da alterazioni del midollo osseo. Ciò è dovuto al fatto che i farmaci in questione sono altamente mutageni: alterano il DNA in modo quasi impercettibile, tanto da sfuggire ai meccanismi di controllo della cellula, e quando quest’ultima si divide trasmette l’errore (divenuto ormai irreversibile) alle cellule figlie, avviando l’oncogenesi.
Le informazioni riportate hanno scopo puramente illustrativo e non sostituiscono, in alcun modo, il rapporto tra medico e paziente.